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21 gennaio 2025

Michelangelo Della Morte

Dal 18-25 gennaio 2025 l’installazione dell’opera nella suggestiva Chiesa di Santa Maria di Portosalvo, a cura di Melania Fusaro e Federica Guida.


La pittura di Michelangelo Della Morte è un ponte tra la tradizione eterna e l’anima. Ogni pennellata racconta secoli di verità. La mostra invita il pubblico a immergersi in una dimensione di contemplazione e intimità spirituale e, al contempo, a percepire una dimensione di elevazione.
All’interno della meravigliosa cornice della Chiesa di Portosalvo, tra la bellezza eterna e il sentimento umano più autentico, l’amore, le opere si rivelano in tutta la loro intensità, richiamando lo spettatore a un rapporto diretto con il sacro.

 

[Pietas]

 

di

Michelangelo Della Morte

 

«Ammirate l’altissimo pittore»: occorrono le parole di Dante, girate al tornio da Giorgio Fulco in uno straordinario studio di apertura sull’ambiente caravaggesco, per inquadrare degnamente l’opera di Michelangelo Della Morte, straordinario ed elegantissimo pittore napoletano. Non che occorra tutto questo spirito critico e quest’audacia per definirlo tale, giacché anche un bambino, grazie a Dio, saprebbe farsi incantare, vincere e sublimare da un’espressione artistica così autentica. Per almeno due motivi.

Il primo è l’essere Della Morte degno e raro erede della grande pittura europea, che da troppi decenni vive il trauma del depauperamento dei linguaggi, dell’abbandono dello studio tecnico e della deprofessionalizzazione degli artisti, profetizzata già da un Salvator Rosa, a scapito della ricerca della bellezza, universale, autentica e libera. Della Morte infatti non sale sulle montagne dei patriarchi o tuona dagli eremi dei profeti la voce solitaria di un Prometeo che abbia una verità. Al contrario segue fedelmente e saviamente la scia che ha trainato a sé Apelle, Giotto, Botticelli, Caravaggio, David e Hayez: la natura. Dipingere ciò che si vede per quel che è, senza sofisticazioni, desumendo dalla verità le regole della rappresentazione, opportunamente miscelate con il proprio taglio narrativo.

La seconda motivazione è nella scelta dei soggetti. A prima vista questa potrebbe risultare limitata: scene sacre ed allegoriche. E in questa particolare mostra di soli pochissimi esemplari la cernita potrebbe apparire ancora più castigante. E invece Della Morte vi pone la grandezza narrativa permettendo all’immediatezza dell’immagine di tramutarsi nell’analiticità della pagina, che va indagata verso per verso, lettera per lettera, per essere compresa. Ogni centimetro quadrato di pittura contiene in sé la traccia visibile di un lavoro certosino, dove l’immagine è il risultato di un impasto di materia pittorica e tecnica disegnativa, nella quale si condensa la ricetta di secoli di pittura.

Nella selezione qui in mostra, lo spettatore ha modo di confrontarsi con due soggetti filosofici, tre religiosi ed uno allegorico. Il pittore mostra chiaramente di rifarsi agli stilemi del naturalismo caravaggesco, rinvigoriti dal giordanismo barocco e napoletano, senza per questo blindarsi in un manierismo anti-autoriale. Della Morte aggiunge invece forza fotografica a modelli chiaramente desunti dalla verità dei nostri giorni, ma li anima e li mette in posa come la tradizione rinascimentale prima e barocca poi hanno abituato gli occhi alla riconoscibilità di questi soggetti. Laddove i temi sacri sono infatti facilmente ravvisabili, con la capacità di farsi opera devozionale in perfetto equilibrio con il loro laico valore estetico, ecco Della Morte servirsi di quella stessa tecnica naturalistica per esprimere allegorie proprie della sua inventiva, e che dunque non seguono precise iconografie ma ne offrono di nuove. È qui, soprattutto, che si manifesta la potenza innovativa di un pittore che ha ben chiaro che è il genio creativo e non l’oscenità della novità ‘a tutti i costi’ a fare l’opera d’arte.

La pittura di Della Morte è fotogramma cinematografico, testo letterario, saggio filosofico, passo evangelico, riverbero di vita comune. Eccone la grandezza: essa respira della cultura di epoche diverse e la incorpora originalmente in un lavoro che ha chilometri di profondità nello spessore centimetrale di una tela.

E, a proposito ancora di verità, occorre ribadirne una: i grandi pittori non sono sepolti da secoli nelle pagine dei manuali. Vivono fortemente, ma minormente, tra i torpori di una preponderante non-arte del consumo, che non deve suscitare la paura del pensiero, né l’innamoramento genuino, ma solo essere ornamento del nulla.

È questa la verità che parla da sé della grandezza di un artista ed anima la penna di uno storico dell’arte a prendersi la responsabilità di giganteggiare con le parole. Perché queste non sono che l’umile alba che indirizza verso il mezzogiorno dell’arte del Della Morte. Allo spettatore, il compito di goderselo allo zenit senza timore d’alcun crepuscolo.

 

Gianpasquale Greco

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